lunedì 25 maggio 2009

Chiariamo subito una cosa: questi "sconosciuti" Heaven & Hell in realtà sono i Black Sabbath. Per la precisione: Tony Iommy (chitarrista storico), Ronnie James Dio (già sentito alla voce in "Heaven and hell" nel 1980, "Mob Rules" nel 1981 e "Dehumanizer" nel 1992), Geezer Butler e Vinny Appice (bassista e batterista storici).
Perchè "Heaven & Hell" e non "Black Sabbath"? Semplicemente perchè si è messa in mezzo la dolcissima (?) Sharon Osbourne (alla quale Tony Iommy ha dedicato velenosissime canzoni in passato, come "Devil And Daughter", dedicata anche al padre di Sharon, ex manager dei Sabbath), moglie e manager del fusissimo Ozzy Osbourne, cantante della formazione originale dei Black Sabbath nonchè detentore dei diritti sul monicker "Black Sabbath". Beghe burocratiche, insomma. Purtroppo neanche la musica ne è esente.
Già nel 2007 questa formazione pubblicò (stavolta sotto il nome "Black Sabbath") la raccolta "The Dio Years", che conteneva i brani principali dei Sabbath con Dio alla voce, più tre esplosivi inediti. Dopo il successo dell'album, la reunion diventa ufficiale e i nostri, sempre chiamandosi Black Sabbath, pubblicano lo stratosferico live "Live At Radio City Music Hall" (2007), per poi tuffarsi a capofitto in un anno e mezzo di lavoro in studio, uscendone oggi con un nuovo monicker e un nuovo, incredibile album. La copertina è decisamente cupa e in controtendenza con le ultime dei Sabbath, molto simboliche o caricaturizzate: un dioavolo stringe in mano un crocifisso avvolto da un serpente e ricoperto di chiodi, sullo sfondo di un altro crocifisso appannato dalle fuligini scarlatte dell'inferno. Minchia.
Iommy abbandona finalmente le divagazioni hard rock e torna a proporci riff Black Sabbath 100% come non ne sentivamo dagli anni d'oro della band (dal 1970 al 1973, più i primi due album con Dio).
Butler e Appice fanno il loro egregio lavoro, come sempre. Dio è tirato a lucido e ci delizia col suo mitico timbro, inconfondibile per originalità e potenza (gli anni si fanno sentire, ma molto timidamente rispetto all'età del piccolo Ronnie...ben 67 anni!).
Si parte alla grande con "Atom & Evil", funereo pezzo per gridare al mondo "siamo tornati!". Riff rallentato al massimo, epica interpretazione vocale e sezione ritmica infernale. Evocativo.
"Fear" alza un pochino il ritmo dell'azione con una batteria che sembra uscita dagli anni '70 e un riff cattivissimo.
La chitarra elettrica irrompe in un arpeggio acustico carezzato dalla voce di Ronnie. L'atmosfera sale a mille quando ad un tratto irrompe un riff di quelli che non si dimenticano per tutta la vita. "Bible Black", fissatevi in mente questo titolo, perchè passerà alla soria del metal. E' anche il primo singolo estratto.
"Double The Pain" fa esattamente quello che dice. Ma oltre al dolore raddoppia anche il piacere dell'ascoltatore, che dopo i primi quindici secondi starà scuotendo il capoccione come un forsennato.
Con "Rock & Roll Angel" si alleggeriscono decisamente i toni. Atmosfere (leggermente) più positive e ritmica più hard rock, per un pezzo che sarebbe potutto tranquillamente stare su "Dehumanizer". Accattivante.
"Turn Of The Screw" sembra una canzone del repertorio solista di Dio, ma con un ritornello di chiara matrice Sabbath. Decisamente più hard rock che metal, un pezzo "misto" che delizierà la fantasia dell'ascoltatore. Sezione ritmica veramente massiccia.
E qui arriviamo alla piccola critica: perchè diavolo avete messo "Eating The Cannibals" al settimo posto?! Un pezzo del genere va in apertura! Probabilmente il pezzo più "commerciale" (che brutto termine!) dell'album. Ottimo potenziale singolo! Headbanging a manetta per un gioco di chiarre -quasi- Iron Maiden. Assolone pazzesco oltretutto! Se ne consiglia l'ascolto a tutto volume in presenza di vecchi o autorità.
Con "Follow The Tears" si ripiomba nelle tenebre più oscure. Ritmiche marziali e chitarre di granito vi introdurranno al pezzo ideale da mettere su se avete un esercito da far marciare.
Torna il rock con "Neverwhere", forse la canzone meno originale dell'album, ma comunque ottima.
"Breaking Into Heaven" chiude il disco in modo epico, maestoso, funereo e indimenticabile. Una formazione all'apice della forma nonostante gli anni ci regala un "arrivederci" mitico.
I Sabbath sono tornati, alla faccia dei nomi, della burocrazia, delle mogli-manager stronze (perchè diciamocelo: secondo voi Ozzy è in grado anche solo di pensare a una cosa del genere, col cervello bruciato che ha?), del tempo e della musica di merda che gira oggi.
Siete di fronte al passato e al futuro della storia del metal (credo che Vico avesse proprio ragione, con la sua teoria dei 'corsi e ricorsi storici'): giubbotto di pelle, stereo a palla, corna bene in vista e spaccate tutto.

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