mercoledì 9 settembre 2009

E' dura recensire il nuovo album del proprio gruppo preferito, si rischia di non essere oggettivi.
Per analizzare “Endgame” si deve partire dal 2004, anno d'uscita di “The System Has Failed”. Dave Mustaine (voce e chitarra, padre-padrone dei Megadeth), dopo un periodo di convalescenza, dà alle stampe quello che sarebbe dovuto essere il suo primo disco solista, ma per obblighi di contratto deve scrivere “Megadeth” sulla copertina. A quel punto della sua carriera i Megadeth erano praticamente morti, dopo ennesimi cambi di line up e mancanza di vero successo da ormai troppo tempo. Tuttavia avviene il miracolo: tanto ironicamente quanto scontatamente T.S.H.F. rivela che Dave è i Megadeth. L'album ha molto successo tanto da convincere la major di allora a imbastire un nuovo tour di successo.
Ciò che è cambiato sono le sonorità, molto più moderne e molto più aperte a nuove soluzioni, che però non soddisfano molti dei fans di vecchia data, che definiscono alcuni brani troppo easy listening. Personalmente ho adorato T.S.F.H., trovandolo fresco e originale.
Tuttavia, dopo il ritorno in pompa magna, urge un disco che metta d'accordo tutti. Nel 2007 esce “United Abominations”, che segna un parziale ritorno verso le sonorità tipiche dei Megadeth. Tuttavia anche stavolta i fans sembrano divisi: l'album è buono ma manca qualcosa per renderlo indimenticabile.
“Endgame” costituisce un altro passo in avanti, pur non centrando ancora del tutto il bersaglio.
Mustaine ritrova una freschezza compositiva latente da tempo, accompagnato dall'allucinante Chris Broderick (ex Nevermore e Jag Panzer) alla chitarra: il duo esplode subito nell'intro strumentale “Dialectic Chaos”, una fucilata alla velocità della luce che in due minuti mette in evidenza tutto l'estro dei due chitarristi con assoli che si rincorrono, si incrociano in un vortice di frenesia e doppia cassa made in Shawn Drover. Si nota subito il ritorno alle sonorità anni '80, anche se ovviamente aggiornate ai nostri giorni. E, con mia sorpresa, quasi non si rimpiange David Ellefson, il vecchio bassista dei Megadeth pre-declino, sostituito da un James LoMenzo in gran forma.
Senza interruzioni irrompe “This Day We Fight!”, ispirata dal discorso di Aragorn ai suoi soldati ne “Il signore degli anelli: il ritorno del re”. Mustaine digrigna le parole come suo trademark in una canzone che riporta la mente ai bei tempi andati. Se avete ascoltato attentamente vi sarete resi conto di quanto è pulito il tocco di Broderick (merito anche del produttore Andy Sneap), che si rivela un vero mostro alla sua prima prova nei Megadeth. Il riff è molto veloce e non ha quel groove tipico dei Megadeth che ti fa scapocciare a pressione e la canzone si rivela vecchio stile e incazzata come non ne sentivamo da tempo.
Intro soffuso per “44 Minutes” (ispirata ad una rapina ad una banca di Hollywood nel 1997), che sembra uscita da quel mezzo ritorno alle origini che fu “The World Needs A Hero” (2001). Il ritornello non è al livello del riff portante, purtroppo. E' difficile che vi ritroviate a cantarlo in doccia, ma pazienza: la canzone è buona e scorre che è un piacere.
Ora sì che si ragiona. Ecco che vuol dire “ritorno alle origini”. Ispirata dalle 'nitro fuel funny cars' di cui Mustaine è appassionato, “1.320” ha un riffone semplicemente allucinante e un bridge dissonante pazzesco che ci fanno perdonare il ritornello non ispiratissimo. Finale al cardiopalma con l'ormai classico assolo che chiude il pezzo: sentirete il vento che vi sferza la pelle durante l'ascolto, garantito.
“Bite The Hand” parla dell'avidità degli operatori del mondo finanziario, che hanno lasciato molti investitori in mutande per il solo profitto personale, e lo fa con uno stile veramente pazzesco: riff fantastico, cambi di ritmo tipici dei 'deth ed ennesimo assolone. Chiusura al cardiopalma.
Intro malefico di basso e voce e “Bodies Left Behind” si rivela l'ennesimo pezzo ispirato. Il ritornello ricorda quello di “Disconnect”, opener di “The World Needs A Hero”. (Ancora) accelerazione in chiusura con (ancora) relativi assoli.
“Endgame” parla della legge firmata da Bush, che dà al presidente USA il potere di imprigionare qualunque cittadino americano. Musicalmente è in perfetto stile “United Abominations”, con un riff non miracoloso ma molto coinvolgente. Mustaine vomita tutto il suo disprezzo verso la suddetta vicenda nel minuto finale, carico di violenza verbale e sonora in un crescendo che chiude in bellezza la title track.
“The Hardest Part Of Letting Go...Sealed With A Kiss” è il pezzo più brutto del lotto. Semi-ballad con tanto di archi epici durante il riff (decisamente poco originale). La canzone inizia lenta ed evocativa, esplode nella sua sezione centrale e si avvia di nuovo lenta ed evocativa verso la sua conclusione. Ma i tempi di “A Tout Le Monde” (dall'album “Youthanasia” del 1994) sono decisamente lontani.
“Head Crusher” è il primo singolo ed indubbiamente la canzone più ignorante di tutte: doppia cassa a manetta, ritmiche quadrate alla velocità della luce, ritornello semplicissimo e pensato per l'headbanging. Cambio di tempo verso la fine (ma va?)... e il pubblico impazzisce. Ripeto: semplice, diretta e ignorante. Che volete di più?
“How The Story Ends” è ispirata dallo stratega Sun Tzu, che da quel che ho capito usava bandiere e tamburi in battaglia. Gradevole, ma giustamente relegata in coda al disco.
“The Right To Go Insane” recita 'non ho niente altro da perdere se non la mia sanità mentale, ho il diritto di impazzire'. E' ispirata alla recessione che soprattutto in America ha distrutto molte vite. Canzone decisamente dimenticabile, se non fosse per la chiusura affidata ad un riff ALLUCINANTE che poteva essere sfruttato di più.
Capolinea.
Ricapitolando: generale ritorno al sound di una volta, pezzi di buona fattura con picchi di ottima fattura, assoli pazzeschi e testi ispirati. Allora perché prima ho detto che il centro non è stato preciso? Per alcuni motivi non trascurabili. In primis la struttura delle canzoni, troppo ripetitiva. E' quasi sempre la stessa storia: partenza, sviluppo del riff, ritornello, assolone incrociato, cambio di tempo, assolone che chiude il pezzo con un sustain. Sinceramente mi aspettavo delle soluzioni un po' più varie. In secundis Shawn Drover mi ha profondamente deluso: è un ottimo batterista, ma le ritmiche sono tutte uguali. Mai una variazione, sempre doppia cassa e rullante ignorantissimi, per due album di fila. Mi aspettavo di più dopo il rodaggio di “United Abominations”, molto di più. Sarà che essendo fan della prima ora Gar Samuelson e Nick Menza sono impressi a fuoco nella mia memoria. Correggendo questi due aspetti, a mio modesto parere, ci sarebbe un balzo in avanti non indifferente. Tertier: va bene la promozione, ma dichiarare che ogni album in uscita suona come “Rust In Peace” mette delle aspettative bestiali che poi vengono puntualmente deluse, e finisce che, a lungo andare, si attende l'album successivo sempre più prevenuti.
Niente da eccepire sui riff non originalissimi: questi non sono i vecchi Megadeth. Prima (1985-1994) c'era un'alchimia assurda e, soprattutto, erano gli anni '80 e i primi '90.
Siamo nel 2000 da ormai quasi dieci anni, se state ancora aspettando il ritorno dei Megadeth di “Wake Up Dead” (album “Peace Sells...But Who's Buying?” del 1986) allora vuol dire che non avete capito proprio niente.
Vai Dave, continua a fregartene che vai sempre più in alto come un falco, come un fulmine!

0 commenti:

Posta un commento