venerdì 8 gennaio 2010

Ultimamente mi è venuto lo schizzo per i Beatles e, oltre ad aver riscoperto molti dei loro brani storici, ho scovato questo irresistibile album tributo pieno zeppo di firme prezzolate!

Uscito oramai ben quattro anni fa, “Butchering The Beatles” (letteralmente “Macellando i Beatles”; la copertina riprende quella di “Yesterday And Today”) contiene dodici classici riarrangiati in chiave hard rock con un risultato esaltante!

Nessuno dei brani originali è stato snaturato, ma anzi se vi piace il rock pesante (quasi) tutti hanno ottenuto una marcia in più. Io sulle cover la penso così: è inutile una cover uguale per il 99% al brano originale, che senso ha? A quel punto mi ascolto l'originale! Quindi ben vengano sperimentazioni, divagazioni, masturbazioni ecc, basta che ovviamente il risultato finale non sia una cagata.

Ad aprire le danze c'è “Hey Bulldog” (l'originale è del 1969, album “Yellow Submarine”), resa decisamente più grezza sia dal nuovo sound molto più pesante che dalla voce di Alice Cooper, accompagnato da niente meno che Steve Vai alla chitarra, l'ex Guns N' Roses Duff McKagan (ora nei Velvet Revolver) e Mikkey Dee, il mostro della batteria dietro le pelli dei Motorhead! Con un cast del genere non poteva che risultare un gioiellino.

Eric Singer (Kiss, Alice Cooper) sostituisce picchiando sulla batteria l'aereo che decolla all'inizio di “Back In The U.S.S.R.” (1968, dall'album “The Beatles” conosciuto anche come “White Album”; dal suo soprannome i Metallica presero spunto per “Metallica” del 1991, poi soprannominato “Black Album”), mentre la voce distrutta dall'acool e dal fumo di Lemmy (Motorhead) imbastardisce la canzone a puntino e John 5 (ex-Marilyn Manson, Rob Zombie) ci dà dentro di brutto come non mai con la chitarra. Ancora una volta grandi musicisti e grandi risultati.

Segue una vellutata “Lucy In The Sky With Diamonds” meno in acido dell'originale (dal famosissimo “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band” del 1967) ad opera del grande Geoff Tate (Queensryche) alla voce, degli -forse troppo- straripanti Michael Wilton (Queensryche) e Craig Goldy (Dio) alle chitarre, Rudy Sarzo (Dio) al basso, Simon Wright (Queensryche) alla batteria e Scott Warren (Dio) alle indispensabili tastiere. Ricordate il discorso sulle cover fatto prima? Ecco, questa canzone cade all'80% fra le cover inutili.

L'orientaleggiante trip di “Tomorrow Never Knows” (da “Revolver”, 1966) viene irrobustito fino a renderlo quasi irriconoscibile dalla premiata ditta Billy Idol, Steve Stevens (alle chitarre dalla Billy Idol Band; cercate i lavori di questo tizio! Ad esempio “Atomic Playboys”!), Blasko (che suona il basso con Ozzy Osbourne e non c'entra niente con quel pessimo di Vasco!) e Brian Tichy (batterista di Billy Idol). Gradevole.

La scanzonata “Magical Mistery Tour” (dall'omonimo album del 1967) viene brutalmente storpiata dagli sbrodolamenti chitarristici di Yngwie Malmsteen. Peccato, perché l'impatto generale è ottimo e i musicisti sono di primo ordine: Jeff Scott Soto alla voce (Yngwie Malmsteen, Soul Sirkus, Journey, W.E.T., Talisman... quest'uomo è peggio del prezzemolo!), Bob Kulick alla chitarra ritmica (Meat Loaf, Paul Stanley), Jeff Pilson al basso (Dokken, Foreigner) e Frankie Banali alla batteria (W.A.S.P., Quiet Riot). Sufficienza, anche per l'inutile allungamento del pezzo sempre dovuto alle manie di protagonismo di Malmsteen.

Applausi invece per “Revolution” (singolo del 1968 assieme a “Hey Jude”), brillantemente riletta in stile blues da Billy Gibbons (voce e chitarra degli ZZ Top), Vivian Campbell (chitarrista dei Def Leppard), Mike Porcaro (bassista dei Toto), Greg Bissonette (batterista di David Lee Roth e Ringo Starr) e Joe Fazzio (dai Superjoint Ritual; anche lui alla batteria?!).

Tutti a scapellare alla grande con “Day Tripper” (dal singolo “Day Tripper/We Can Work It Out” del 1965), divertimento assicurato grazie alle voci di Jack Blades (Night Ranger, Damn Yankees) e di Tommy Shaw (Styx, Damn Yankees), alla chitarra grassa di Doug Aldritch (Whitesnake, Dio), al basso di Marco Mendoza (Whitesnake, Thin Lizzy) e alla batteria di Virgil Donati (Steve Vai, Soul Sirkus, Planet X).

La tranquillissima “I Feel Fine” (dal singolo “I Feel Fine/She's A Woman” del 1964) viene con grande gioia delle nostre orecchie terremotata da John Bush (voce degli Anthrax), Stephen Carpenter (Deftones), Mike Inez (bassista di Ozzy Osbourne ed Alice In Chains) e John Tempesta (batterista dei The Cult e dei Testament), diventando un pezzo punkeggiante decisamente atomico!

La bellissima “Taxman” (da “Revolver”) a mio parere non riesce molto bene a causa della voce particolare di Doug Pinnick dei Kings X, perché il reparto musicale è ottimo: addirittura Steve Lukather dei Toto alla chitarra, il Tony Levin di John Lennon e Peter Gabriel al basso e Steve Ferrone di Eric Clapton e Tom Petty alla batteria! Però questa critica è dovuta a un parere personale assolutamente soggettivo, quindi bellissima cover!

A mio parere però la cover meglio riuscita del disco è quella di “I Saw Her Standing There” (dal disco d'esordio dei Beatles “Please Please Me” del 1963): un tornado rock 'n' roll ad opera di gente che conosce bene il genere! Sto parlando di un John Corabi (ex voce dei Motley Crue e dei The Scream, ora militante negli Union) ispiratissimo, un Phil Campbell (chitarrista nei Motorhead) che “cosa ve lo dico a fare”, un CC Deville straripante (chitarrista dei Poison), un Chris Chaney che è un metronomo (bassista dei Jane's Addiction) e un Kenny Aronoff indemoniato (batterista di Bon Jovi e Smashing Pumpkins)! Da orgasmo!

Tim Owens (ex Judas Priest, ex Iced Earth, ora solista), George Lynch (chitarra di Dokken e Lynch Mob), Bob Kulick, Tim Bogart (bassista dei Vanilla Fudge e di Beck Bogert & Appice) e Chris Slade (batterista negli AC/DC) ci propongono un'ottima versione più corta e dalle vocals 'judaspriestiane' dei “Hey Jude” (dal singolo “Hey Jude/Revolution”).

In chiusura troviamo una spettacolare “Drive My Car” (da “Rubber Soul” del 1965) firmata Kip Winger (Winger), Bruce Kulick (chitarrista nei Kiss e nei Grand Funk), Tony Franklin (bassista di The Firm e Whitesnake) e Aynsley Dunbar (batterista nei Whitesnake e nei Journey), che vi farà muovere il culo peggio dell'originale! Chiusura col botto!

Di solito i tributi non mi piacciono perché spesso risultano -ironia della sorte- fini a se stessi, ma qui la situazione è diversa: la musica coverizzata è fra le migliori, se non LA migliore, gli artisti coinvolti sono il top del top e il risultato è semplicemente da encomiare (certo, sarebbe stata gradita una cover di “Helter Skelter” o di “Eleanor Rigby”, ma vabé...).

Se i Beatles fossero nati oggi, probabilmente alcuni dei loro pezzi sarebbero stati così, fidatevi.

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