venerdì 23 ottobre 2009

Per chi non li conoscesse, i Primal Fear vengono fondati dal Ralf Scheepers (Voce), quando, dopo aver lasciato i Gamma Ray di Kai Hansen, scopre di non essere stato scelto dai Judas Priest per sostituire Rob Halford dopo la sua dipartita.
Ecco, praticamente i Primal Fear sono i cloni tedeschi dei Judas Priest e dal 1998 sfornano con una certa regolarità degli album di heavy metal classico che devono quasi tutto al seminale "Painkiller" (1991, Judas Priest, appunto).
Intendiamoci, i Primal Fear hanno una discografia invidiabile in quanto a validità, la loro unica pecca è la mancanza di un quid che li distinguerebbe dal loro gruppo di ispirazione e dal resto della massa delle bands di heavy metal classico.
Proprio a questo punto debole cercano di porre rimedio con "16.6 (Before The Devil Knows You're Dead)", il loro ottavo studio album. Per quanto riguarda il titolo, i membri della band hanno detto che non riveleranno cosa significa, anche se la "P" è la sedicesima lettera dell'alfabeto latino e la "F" è la sesta (16.6; P.F; Primal Fear?). Sinceramente però mi sembra troppo idiota come soluzione.
In questo album Mat Sinner, bassista e principale compositore, dà il meglio di sè, assieme ai colleghi Randy Black (batteria), Henny Wolter (chitarra) e Magnus Karlsson (chitarra), il nuovo arrivato che sostituisce per la prima volta Stefan Leibing.
Tutto l'album è permeato da un'atmosfera più epica rispetto alla semplice brutalità del passato, e ciò è un bene, perchè contribuisce a donare il quid di cui sopra.
Si parte con l'intro "Before The Devil Knows You're Dead", che dopo una quarantina di secondi composti da cori e orchestrazioni cede il passo alla prima vera canzone, "Riding The Eagle". L'aquila è un tema ricorrente nell'iconografia dei Primal Fear: campeggia su ogni copertina, e il fatto che su quella dell'ultimo album sia cammuffata, a detta della band è un ulteriore tentativo di innovazione.
Ma torniamo al pezzo. Un riffone dalle tinte power metal ci accompagna in un pezzo che sembra rubato ai Gamma Ray più ispirati. Assolo decisamente coinvolgente. Ottimo pezzo, ma non risolve il problema dell'originalità.
Riff pesante come un macigno per "Six Times Dead (16.6)", decisamente ispirata e portatrice di un'aria nuova in casa Primal Fear, anche grazie al malatissimo assolo. Headbanging assicurato.
Pertenza orientaleggiante per "Black Rain", stupendo pezzo che parla dei tradimenti in guerra passando dall'epicità dell'intro e dei bridge al ritornello tanto semplice quanto trascinante. Solo spot ottimamente costruito sia come inventiva che come ritmiche.
"Under The Radar" esalta con il suo feeling da cavalcata, ma la puzza di Gamma Ray si sente lontana un miglio. Comunque ottima canzone.
Assolo fulminante in partenza per "5.0/Torn", che prosegue in modo spettacolare e con un'anima progressive ispiratissima che cede il passo allo stile Primal Fear solo nel ritornello. Bending e armonici a manetta.
"Soar" è incazzatissima dal primo secondo! Ottima canzone, peccato solo per la banalità dei temi trattati: esplosioni nucleari, guerre e...il 2012. E' anche la più sperimentale dell'album, come testimoniato dalla parte centrale.
"Killbound", che parla di una legione di mercenari, sembra uscita da "Jugulator" dei Judas Priest per feeling, sonorità, impostazione del cantato ecc. Ancora un ottimo esempio di heavy metal.
"No Smoke Without Fire" è caratterizzata da atmosfere mai banali e di sicuro impatto, proprio quello di cui ha bisogno l'album.
Ancora power metal teutonico a farla da padrone in "Night After Night".
Si parla di vendetta con l'ispirata "Smith & Wesson", una fucilata sonora nelle orecchie. Decisamente riuscita.
Indovinate di cosa potrebbe trattare "The Exorcist"? Bravi. La musica è definibile, molto semplicemente, con una citazione abatantuoniana: "VIULEEEEEEEEEEEEEENZ'!!!".
La stupenda ballad "Hands Of Time" sfodera l'anima tenera della band, chiudendo ottimamente un disco altrettanto ottimo.
Si apprezzano gli sforzi di innovazione del sound, ma si può fare di più.
In definitiva un bell'album di metallo classico tendente al power, senza troppe pretese, che punta a soddisfare i palati dei fans senza riproporre pedissequamente la stessa (egregia) solfa degli album precedenti.

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