domenica 12 luglio 2009

Una mattonata sui coglioni, ma anche no. Con questa frase potremmo considerare conclusa la recensione. Sì, perchè “Nostradamus” è quanto di più distante dal precedente “Angel Of Retribution” (2005, album validissimo, nonché ritorno Rob Halford al microfono dopo la parentesi Tim Owens) che i Judas Priest potessero comporre. Concept (prima volta per loro) in due CD che parla dell'affascinante figura di Nostradamus, “profeta” visionario del medioevo. Più che sulle predizioni, i nostri si soffermano sulla figura umana del personaggio, facendo capire che si sono messi a tavolino a studiare: nascita, vita, amori, profezie, guerre, morte.
Sotto il profilo musicale per la prima volta i 'metal gods' inseriscono nelle composizioni ritmiche marziali e massiccie orchestrazioni d'atmosfera. Pochi sono i pezzi che presentano le caratteristiche tipiche dei Judas che tanto amiamo: scordatevi “Delievering the goods”, “Breaking the law”, “You've got another thing coming”, “The sentinel” e “Painkiller”. Qui ci si presentano dei Judas nuovi, epici, più ragionati, meno immediati e decisamente brodosi. Scordatevi pure gli assoli “incrociati” made in Tipton/Downing (chitarre), che faranno raramente capolino durante i ventitre pezzi. Scott Travis abbandona il suo tipico stile doppia cassa – rullante per un drumming più lento ma decisamente poco originale. Rob Halford ha un tono di voce molto più basso, profondo e a suo modo mistico, come era prevedibile date le sue difficoltà a riproporre le canzoni più “alte” in sede live. Purtroppo l'età avanza anche per il metal god per eccellenza, anche se Glenn Tipton e K.K. Downing hanno assicurato in un'intervista a “Metal Maniac” che è stata una precisa scelta stilistica e che Halford riesce ancora a raggiungere le note alte come in passato: forse loro erano strafatti durante il loro live “Rising in The East” (2005), perchè la sofferenza di Halford nel cantare si sente e si vede! E Ian Hill (basso)? Non ha mai fatto nulla di particolare dal 1974, perchè dovrebbe ora?
Inoltre già dopo il primo ascolto si capisce che difficilmente la resa live dell'album sarà semplice e difficilmente potrà essere richiesta dai fans, visto che i pezzi possono trascinare se ascoltati in meditazione religiosa dal vostro stereo, ma live hanno ben poco mordente.
Mancanza di presa dovuta anche ad un generale rallentamento dei ritmi, serratissimi fino allo scorso album: in generale il 90% delle canzoni sembra un mix dell'ultima parte del repertorio di Ronnie James Dio con le atmosfere dei Black Sabbath più cupi (non dico Heaven & Hell semplicemente perchè “Nostradamus” è uscito prima di “The Devil You Know”) e Rob Halford che canta.
Il feeling è più o meno lo stesso per tutta la durata del platter.
Quasi sempre, prima di ogni canzone c'è un intro strumentale o narrato di breve durata (uno, due minuti): a mio parere si potevano benissimo evitare, snellendo di molto l'ascolto.
Non analizzo pezzo per pezzo perchè la recensione diventerebbe un elenco di descrizioni più o meno tutte uguali. Gli unici ascoltabili in modo godibile anche fuori dal contesto del concept sono “Prophecy” e “Nostradamus”, che guardacaso sono i più classici e guardacaso sono quelli riproposti più frequentemente nei live.
Insomma, un ottimo concept album epico e carico di atmosfera, ma un pessimo album dei Judas Priest.
Tuttavia vi consiglio lo stesso di ascoltarlo, è un album che ha diviso i fans, quindi non lasciatevi influenzare troppo negativamente dalla mia recensione, potrebbe diventare il vostro disco preferito!

0 commenti:

Posta un commento